martedì 17 luglio 2018

Avere vent'anni

Nell'estate del 1989 avevo vent'anni e, come recita il Bardo, "a vent'anni è tutto ancora intero, a vent'anni è tutto chi lo sa".  Per questo ho scelto di ambientare un romanzo in quella stagione e ne scriverò anche il seguito: per far rivivere un momento della mia vita che ha avuto qualcosa di  magico, sia per le esperienze che ho vissuto che per le persone che ho conosciuto.

"Avere tutto per possibilità": così ci sentivamo mentre muovevamo i nostri passi timorosi e ricchi di entusiasmo in un mondo che, nonostante le trasformazioni traumatiche a cui stavamo andando incontro, sembrava ancora in grado di garantire un futuro solido a tutti, inclusi coloro che non intendevano rinunciare all'esercizio della propria coscienza critica.

Ovviamente non potevamo sapere che gli equilibri maturati alla fine degli anni Settanta, in Italia e nel mondo, avrebbero disgregato di lì a poco l'universo di valori nel quale eravamo cresciuti e che davanti alle trasformazioni degli anni successivi poco avremmo potuto fare se non tentare, faticosamente, di adattarci per evitare di essere stritolati.

Cresciuta nell'atmosfera per molti versi ovattata degli anni Ottanta, la mia generazione non aveva sperimentato le lacerazioni politiche e sociali degli anni Settanta, sfociate nella rivolta aperta contro l'autorità e nell'adesione alla lotta armata. Avevamo vissuto, però, attraverso il filtro ansioso della vita familiare, la dolorosa consapevolezza del pericolo dovuto al dilagare delle droghe, dell'eroina in particolare.

A scuola avevamo avuto insegnanti, formatisi nel decennio precedente, che ci esortavano a impegnarci in politica per cambiare la società e il mondo. I loro messaggi trasmettevano un senso di continuità storica con il passato, ma non era chiaro se fossero dettati da una reale convinzione nel cambiamento oppure  se rappresentassero, più semplicemente, il frutto di un tentativo quasi disperato di arginare l'individualismo e il consumismo dilaganti.

Negli anni Ottanta la cultura di massa ormai proponeva modelli culturali di omologazione sempre più marcata, veicolati dalla musica pop commerciale che imperversava alla radio e alla televisione. Solo a un livello più basso proliferavano locali underground dove le esibizioni di gruppi rock semi-sconosciuti riuscivano ancora a tenere viva l'atmosfera di ribellione dei decenni passati.

Era un periodo pieno di segnali contraddittori, che fatalmente alimentavano l'illusione che prima o poi sarebbe toccato anche alla nostra generazione sperimentare una rivolta giovanile di massa come quelle del 1968 e del 1977.

La rivolta di massa effettivamente ci fu, ma non ottenne i risultati sperati: nell'inverno seguente il movimento studentesco della Pantera occupò a lungo le università italiane per protestare contro la riforma Ruberti, ma senza riuscire a bloccarne l'applicazione. Alla fine il movimento dovette rifluire senza riuscire a darsi degli obiettivi concreti per portare avanti la protesta e venne fatalmente riassorbito dai processi di trasformazione economica e sociale.

La Storia ormai si muoveva in una direzione diversa da quella che sognavamo: dietro l'angolo si profilava la realtà brutale della costruzione del Nuovo Ordine Mondiale con tutto ciò che ne conseguiva per gli equilibri interni ed esterni del nostro paese. Le forze di sinistra furono fatalmente risucchiate all'interno di questo processo, costrette a contribuire per non essere definitivamente spazzate via.

Di quella generazione sono sopravvissuti solo i destini individuali, più o meno dolorosi, più o meno felici. Per quanto mi riguarda, rimane la nostalgia per un periodo entusiasmante della mia vita nel quale ho avuto l'impressione, anche se per breve tempo, di avere il mondo tra le mie mani. Per questo ho voluto ricordarlo scrivendo un romanzo.